Perché la parola è vento, principio primo dell'essere, scintilla dell'infinito

mercoledì 27 giugno 2012

Shirin

Auguste Rodin, Danaïd. 1889-1890. Marble. Musée Rodin, Paris

Ritratto VII

Gli hanno spezzato le ali.
Non volerà mai più.


Il piccolo angelo di gesso giace immobile sulla superficie irregolare del letto. L'oro ancora vivido sui riccioli composti, la polvere blu sul corpo ormai sbiadito. "È solo un oggetto" - ha detto con l'indifferenza di chi non può capire. Solo un oggetto, ripete lei tra sé, mentre le lacrime disegnano sul viso sentieri che andranno a inondare di rabbia l'aria, il tempo, lo spazio tra una ferita e un ricordo. Ha quasi paura di sfiorarlo. La testa spiccata dal busto, un'ala infranta, schegge di memorie lontane ovunque, conficcate nel cuore. Il sorriso ineffabile di quei giorni in cui non sapeva chi era e c'era solo lui a darle il senso della bellezza.
"È solo un oggetto" - continua a ripetere la voce irritante da un'altra stanza, da una distanza di sentimenti incolmabile. Lo scatto è preciso, repentino. Si avvicina al grande comò in mogano, sceglie con cura la porcellana traboccante di fiori. Le occorrono due, tre, quattro tentativi per mandarla in frantumi. È dura, come la proprietaria che adesso le urla contro. "Cosa hai fatto? Cosa hai fatto?" - stride la voce dai lineamenti alterati.
È solo un oggetto, no? Come ci si sente quando sono le tue di cose ad andare in frantumi? Il mio angelo. L'angelo a cui tenevo così tanto...
La sente urlare, le sente dire parole scomposte, ne afferra vagamente il senso. A quanto pare ha scelto bene. La porcellana aveva un valore, un valore completamente diverso da quello dell'angelo. Un valore in denaro, un valore sporco. Non si sente meglio. Non puoi far comprendere, a chi è incapace di provarne, quei sentimenti che dentro di te risuonano come la cetra spezzata tra le mani di un fragile angelo di gesso.
Le lacrime non si arrestano, la rabbia nemmeno, il dolore rimbomba nelle tempie, nei muscoli, in ogni parte di lei. Tossisce, tossisce ancora. Si sente soffocare il passato, ciò che per lei contava. Un fazzoletto sulla bocca ad arginare i singhiozzi convulsi. Una macchia, un'altra ancora. Sangue. Dev'essersi rotto qualcosa dentro. Adesso sa, sa che durerà poco. E non importa, non importa il resto. Accarezza il suo angelo. Ciò che importa si è frantumato da tempo. Non resta che aspettare il silenzio.

12 soffi di vento:

  1. Bellissimo. Chapeu.
    Rodin è uno dei miei preferiti: intenso. Carnale.

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  2. Non ci credo... Sono riuscita a postarti il mio commento sgrammaticato! Olè :-)

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  3. per alcuni il solo valore e' dettato da quello pecuniario...niente di nuovo sotto il sole :(
    Brava Ale

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  4. finalmente sono riuscito a scriverti :)
    non ho particolari commenti da fare: sei davvero brava e questa non è una novità (almeno per me)
    mi mancano racconti particolari come quello sull'amante (a quattro zampe) di tuo fratello (sorrido al ricordo) ma, d'altro canto, che t'aspettavi da uno che alterna il costume ascellare di fantocci ai mutandoni di superpippo? ;-)

    A presto Ale,
    Amalio Delana
    (e un salutone a canottiere :-) )

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  5. no, nessuno può capirlo. ma è necessario mettere via i cocci .... per avere nuovi oggetti.

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  6. Qualsiasi oggetto non è mai solo un oggetto.

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  7. Ogni tanto salta fuori qualche post che non avevo letto. Bello, questo, mi ci riconosco molto. Anni fa mio marito ruppe una tazza da tè che mi piaceva molto. Faceva parte di un servizio da sei che avevo desiderato molto, ogni volta che passavo davanti alla vetrina di oggetti per la casa in cui era esposto. Il consorte me lo regalò per Natale, ben sapendo che sarebbe stato molto gradito, visto che ho una passione smodata per i servizi da tè. Le sei tazze avevano un discreto bordo dorato, su tazza e piattino, che si intonava alla decorazione, ed erano tutte diverse; ognuna di esse aveva l'interno di porcellana bianca, ma all'esterno c'erano i tipici motivi del tartan scozzese. La mia preferita era rossa, come il kilt che avevo da bambina e, manco a dirlo, adoro il rosso. Le mie tazze, di produzione belga, le tenevo in bella vista nella vetrinetta della libreria che divide parzialmente la sala da pranzo dalla cucina/tinello, insieme agli altri servizi acquistati nei viaggi all'estero: quello floreale preso a Londra, delizioso, e quello russo acquistato in Finlandia, completi di tazze, piattini, teiera, bricco per il latte, zuccheriera e piatto per i dolci. Una mattina, per iniziare bene la giornata, decisi di fare colazione con la mia tazza rossa: essendo in vestaglia, lunga fino ai piedi, chiesi al consorte di prendermela, essendo una decina di cm. più alto di me. Lui, svogliatamente, allungò la mano e la prese, ma da come la tenevo capii subito che sarebbe volata a terra. Infatti fini sul pavimento, in frantumi. Lui, con quel tipico sguardo infantile che hanno gli uomini quando sanno benissimo di aver combinato una stronzata, si disse (fintamente) dispiaciuto, sapendo che quella era la mia tazza preferita e mi porse il piattino ancora integro, invitandomi a rallegrarmi del fatto che quello fosse rimasto integro. Io, guardandolo fisso negli occhi come so fare solo io, non ho neanche guardato il povero piattino rimasto e, prendendoglielo dalle mani, l'ho furiosamente scaraventato a terra, mandandolo in pezzi sul parquet a fare compagnia alla tazza. Anche gli oggetti in frantumi, possono dire molto. Infatti il consorte, dopo avermi guardato come se fossi pazza, mi ha evitato per due giorni di fila e io non gli ho più chiesto di prendermi qualcosa dalla vetrinetta.

    Buon anno, signorina Ale, a lei e consorte.

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    Risposte
    1. Sì, signora, comprendo perfettamente. A volte credo che esistano universi incomunicabili. Ed è meglio così.
      Buon anno con un po' di ritardo, anche da parte del kami.

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