John Atkinson Grimshaw, The Lady of Shalott. Oil on canvas. Private collection |
Ci urti contro come se fosse un muro, ma è soltanto un profumo. Ti viene addosso sulla porta d'ingresso e tu resti lì, immobile, senza difese, senza fiato. Stordita, percorri i due metri che ti separano dal balcone alla ricerca d'aria. Ma quell'odore dolciastro, intenso, arriva fin lì e ti senti mancare le forze, il respiro, un pugno ti stringe al centro del petto, il cuore inizia la sua folle corsa.
Fai appena in tempo a dire all'uomo distratto sul divano: "Chiami il dottore. Mi sento male". La gola si chiude. Il corpo lotta. Spasmi violenti ti scuotono. Mani frenetiche scavano alla cieca nella borsa alla ricerca di un cilindro di plastica bianco e rosso che metterà fine al dolore. Inali una prima, una seconda volta. Sembra che la presa sul petto si allenti, ma è solo un attimo e arriva un conato, un altro ancora. Stai soffocando e lo sai. Dai bronchi un'ondata di muco bianco, denso si fa strada lentamente attraverso l'esofago, cercando di uscire da una bocca aperta in uno spasmo che ha fame d'aria.
Stai soffocando e non muovi più le gambe. Stai soffocando e vedi tutto quel che ti circonda sfocato. Ti resterà impresso solo un pezzo di cielo azzurro, tra quel balcone e il dolore. Arriva trafelato il dottore. Gli occhi liquidi e velati. Ti parla, ti dice di stare calma, ma tu non sei agitata, tu ci sei già passata e lo sai che agitarsi serve solo a complicare le cose. Lui ti ripete di stare calma, ma tu lo senti che ha paura. Anche la paura ha un odore di morte.
I conati aumentano e tu stai perdendo sensibilità. Ti chiedi quanto tempo possa resistere un essere umano senza respirare. Senti che lui, quello col camice bianco, in quel momento si sta augurando che tu resista il più a lungo possibile.
"Dammi il braccio."
Eh, fossi capace di muoverlo, volentieri. Penso.
"Non preoccuparti, con questa andrà meglio."
Mi toglie la giacca, prova a mettermi il laccio emostatico. L'ago entra una, due, tre volte. La vena si rompe. Niente da fare.
Questa volta ci resto secca, penso. Nel frattempo temo di essere diventata cianotica. Gliel'ho letto negli occhi il terrore. Ma lui non è tipo da desistere.
Al secondo tentativo, con l'altro braccio, la vena si concede e il cortisone entra in circolo. Faccio in tempo a sussurrare: "Poco" e lui fortunatamente capisce che anche quello mi fa reazione ed evita di dar fondo alla fiala. D'altra parte, quando sei sul punto di andartene, devi scegliere il male minore. Così ti becchi gli effetti del cortisone, ma almeno respiri di nuovo.
Passi l'ora successiva in stato di semi incoscienza, senza riuscire a muoverti, a parlare, a pensare. Bianca come le pareti della stanza. Non controlli nulla di te. Galleggi nell'aria e senti la sua voce che ti tiene sveglia. Le punture dell'ago per verificare la sensibilità e questa volta il dolore è un segnale che ci sei ancora. No, la mano non è tornata, ma tornerà più tardi. Per il momento sei lì e sei ancora viva.
Un'altra stanza, quasi del tutto vuota. La bombola dell'ossigeno dietro la porta. Un pianto breve e improvviso, perché no, non te l'eri immaginata così la vita, sulla torre nell'isola di Shalott. Eppure ci sei e questa è la tua vita. Asciughi le lacrime, ingoi il silenzio e spegni la luce. Domani potrai raccontarlo e non ti sembra poco. Non è ancora tempo di volgere lo sguardo a Camelot.
accidenti Ale...mi verrebbe voglia di bestemmiare ma non ci sono mai riuscita...come non so dirti a parole la rabbia che provo, le malattie sono un' ingiustizia ecco
RispondiEliminati abbraccio...
Cara S., quella rabbia la provo anch'io, sebbene molto meno rispetto a prima. Quel che è certo è che paradossalmente amo di più la vita e ne apprezzo i frammenti nascosti, quelli che agli altri possono apparire banali o insignificanti. Non è facile, ma se prevalesse lo sconforto mi priverei anche della gioia di provare emozioni positive e questo no, non voglio cedere alla malattia anche questa parte di me. Nonostante tutto, voglio illudermi di essere ancora io a decidere. Prego solo di avere sempre la forza.
RispondiEliminaRicambio l'abbraccio e rilancio con un sorriso :)
Gran brutta cosa il soffocamento
RispondiEliminala prima volta non riuscii a capacitarmene
lo sentii arrivare dal fondo della gola e
cominciai a tossire sempre più convulsamente
mi buttai dentro un negozio ed andai nell'angolo più remoto
con un fazzoletto pressato su bocca e naso e gli occhi quasi fuori dalle orbite
col tempo capii che erano i platani ma solo in questo periodo una quindicina di giorni, purtroppo le vie di roma ne hanno tanti e tutti ultracentenari,
piantati lì quando le allergie non esistevano
Oddio, fraticello, quanto ti capisco...
Eliminacavolo ...molto forte questo post....da restare senza fiato...sono felice che tu stia bene ora!!!!
RispondiEliminaGrazie e benvenuta!!! :D
EliminaShalott?! Non direi proprio.
RispondiEliminaMetafora, trattasi di metafora. Devo aggiungere il commento critico, per caso? [sono ironica, ovviamente]
EliminaSì, grazie, ottima idea! Io mi ero divertita molto ad interpretare un suo post, quando circolava ancora il signor Amalio.
EliminaBei tempi, quelli amaliani... interpreti pure, tanto alla fine il testo è sempre di chi lo legge, commenti critici o meno.
EliminaNoooo, a comando non ci riuscirei mai. Certe cose devono essere spontanee, altrimenti sono insopportabilmente forzate.
EliminaMa noooo, dai, ci sono ancora!!! :D
RispondiEliminaShalott è dalle parti di Altamura, no?
RispondiEliminaCi fanno il pane.
Stiupidooooooooo. Lasciamo perdere gli sconfinamenti in terra di Bari, perché oggi ho un diavolo per capello. Non appena mi capita a tiro il corriere barese che avrebbe dovuto portarmi un medicinale importante, giuro che gli cambio l'accento...
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