Esiste un tipo di solitudine che prescinde dai variegati e variopinti esseri umani che si ha la fortuna/sfortuna d'incontrare sulla propria strada. Se è vero che noi siamo con gli altri e insieme agli altri, questo esserci o la percezione di esserci, quindi di esistere e viverci in quanto persone, assume sfumature talmente diverse da non poter essere classificate.
Siamo a seconda dei contesti e delle persone che incontriamo, siamo perché viviamo in società, siamo perché incarniamo un certo tipo di cultura, lingua, tradizione. Siamo molteplici eppure unici.
E nonostante società, lingua, cultura, tradizione siamo anche altro. Siamo chi sentiamo d'essere, conosciuti forse solo a noi stessi o nemmeno a noi. In questo spazio scivoliamo e cadiamo, ci risolleviamo e troviamo le ragioni per essere anche al di fuori di noi. In questo spazio ritroviamo il nostro cuore e la nostra anima. In questo spazio esistiamo per noi.
Mi ritrovo a pensare che una solitudine antica ha visto crescere le sue radici dentro di me, mi ha avviluppato l'anima, ne ha tessuto trama e ordito. Mi ritrovo a pensare che quando non riesco a farmi capire pur parlando la stessa lingua di coloro che camminano con me forse non è vero che parlo la loro lingua, forse parlo la mia. Mi ritrovo a pensare che il senso di inadeguatezza al mondo che mi circonda è forse il mio unico modo di essere in quel mondo.
Una solitudine antica mi accompagna da sempre; una solitudine che non temo, ma che non sapevo di amare. Parlare una lingua che nessuno conosce. Sentirsi ospite sui sentieri altrui, perché camminare lungo la propria strada a volte fa perdere il senso dell'orientamento.
Forse questa solitudine è il mio modo d'essere, in un mondo che non mi appartiene e al quale sento di non appartenere. Ho imparato a sentire di esserci nonostante il vuoto, nonostante il distacco, nonostante la non appartenenza a cose e persone. Non riesco a sentire fino in fondo mie troppe cose e persone... non sento di appartenere loro... non dura mai oltre un battito d'ali del tempo.
E va bene così.
Forse semplicemente non dipende né da me né dagli altri. Forse è il mio destino quello di essere altrove e mai in qualche luogo. Forse è la mia solitudine che è parte di me.
Forse sono io.
E va bene così.
Se guardi in fondo agli occhi non c'è un sorriso. Solo consapevolezza che anche questo non mi appartiene.
Siamo a seconda dei contesti e delle persone che incontriamo, siamo perché viviamo in società, siamo perché incarniamo un certo tipo di cultura, lingua, tradizione. Siamo molteplici eppure unici.
E nonostante società, lingua, cultura, tradizione siamo anche altro. Siamo chi sentiamo d'essere, conosciuti forse solo a noi stessi o nemmeno a noi. In questo spazio scivoliamo e cadiamo, ci risolleviamo e troviamo le ragioni per essere anche al di fuori di noi. In questo spazio ritroviamo il nostro cuore e la nostra anima. In questo spazio esistiamo per noi.
Mi ritrovo a pensare che una solitudine antica ha visto crescere le sue radici dentro di me, mi ha avviluppato l'anima, ne ha tessuto trama e ordito. Mi ritrovo a pensare che quando non riesco a farmi capire pur parlando la stessa lingua di coloro che camminano con me forse non è vero che parlo la loro lingua, forse parlo la mia. Mi ritrovo a pensare che il senso di inadeguatezza al mondo che mi circonda è forse il mio unico modo di essere in quel mondo.
Una solitudine antica mi accompagna da sempre; una solitudine che non temo, ma che non sapevo di amare. Parlare una lingua che nessuno conosce. Sentirsi ospite sui sentieri altrui, perché camminare lungo la propria strada a volte fa perdere il senso dell'orientamento.
Forse questa solitudine è il mio modo d'essere, in un mondo che non mi appartiene e al quale sento di non appartenere. Ho imparato a sentire di esserci nonostante il vuoto, nonostante il distacco, nonostante la non appartenenza a cose e persone. Non riesco a sentire fino in fondo mie troppe cose e persone... non sento di appartenere loro... non dura mai oltre un battito d'ali del tempo.
E va bene così.
Forse semplicemente non dipende né da me né dagli altri. Forse è il mio destino quello di essere altrove e mai in qualche luogo. Forse è la mia solitudine che è parte di me.
Forse sono io.
E va bene così.
Se guardi in fondo agli occhi non c'è un sorriso. Solo consapevolezza che anche questo non mi appartiene.
Avere l'intelligenza di sentirsi ospiti sui sentieri altrui in caso di bisogno, per poi rifugiarsi nel proprio mondo, la propria casa, i propri affetti (se ci sono)
RispondiEliminaNon critico neppure coloro costretti a ridere alle battute del capo od applaudire le sue esibizioni canore, purchè stiano usando l'intelligenza, perchè questa è l'organizzazione che abbiamo dato alla nostra struttura sociale, non conoscendone di migliori.
"...Tuuu meravigliosa creaturaaaaa..."
RispondiEliminaBacio!!!