Amleto è la tragedia di Shakespeare che preferisco in assoluto. In frasi quali «Fragilità il tuo nome è donna» oppure «Per conoscere qualcuno bisogna conoscere se stessi» ma anche la celebre «Essere o non essere, questo è il problema» ho sempre trovato disvelata una verità che ogni volta mi ha lasciato smarrita.
L'eterno dilemma tra azione e inazione. La straziante prospettiva del compiere una scelta. La feroce consapevolezza che anche non scegliere è comunque una scelta. L'ammonimento a non leggere ciò che appare come ciò che è; la genialità nel sostenere «Io sono matto solo a nord-nord/ovest. Quando il vento spira a sud, so riconoscere benissimo un falco da un airone».
Colui che Orazio invoca come dolce principe, al quale augura che schiere di angeli accompagnino il suo riposo, è una figura che affascina proprio nel vestire l'armatura di antieroe.
Amleto è il debole, l'irresoluto. Amleto è schiacciato dal peso della morte del padre e ossessionato dall'idea di vendicarlo. Amleto non è ciò che vuol apparire e mai ciò che sembra. Tuttavia è nella relazione con Ofelia che scopriamo l'altro volto del principe; il suo saper essere anche duro e crudele.
Ofelia è l'autentico personaggio tragico; l'unico che perviene, forse, a una consapevolezza superiore a quella di Amleto e ben più dolorosa.
Ofelia impazzisce e muore non perché rifiutata da Amleto, non per la debolezza del principe e della sua incapacità di dar valore all'unica cosa che è ciò che appare - il vero amore -, ciò che avrebbe potuto dargli una forza e una risolutezza diverse e al quale egli rinuncia (per vigliaccheria? Per incapacità? Per orgoglio?)... no, miei cari lettori...
Ofelia impazzisce e muore allorché le si chiarisce che Amleto è il suo vero amore, debole, vigliacco, feroce amore, crudele amore...
Ofelia impazzisce e muore quando infine comprende che se il suo vero amore è Amleto, lei non sarà mai felice con lui... e non sarà mai felice nemmeno senza di lui...
L'ineluttabilità di certi destini fa sì che ci si auguri di non trovare mai un vero amore simile a quello di Amleto e Ofelia... giacché la totalità e l'appartenenza reciproche, miste all'impossibilità e all'incapacità di viversi senza farsi del male, non portano altro che follia... abbandono... morte...
Dedicato a chi ci si riconosce.
L'eterno dilemma tra azione e inazione. La straziante prospettiva del compiere una scelta. La feroce consapevolezza che anche non scegliere è comunque una scelta. L'ammonimento a non leggere ciò che appare come ciò che è; la genialità nel sostenere «Io sono matto solo a nord-nord/ovest. Quando il vento spira a sud, so riconoscere benissimo un falco da un airone».
Colui che Orazio invoca come dolce principe, al quale augura che schiere di angeli accompagnino il suo riposo, è una figura che affascina proprio nel vestire l'armatura di antieroe.
Amleto è il debole, l'irresoluto. Amleto è schiacciato dal peso della morte del padre e ossessionato dall'idea di vendicarlo. Amleto non è ciò che vuol apparire e mai ciò che sembra. Tuttavia è nella relazione con Ofelia che scopriamo l'altro volto del principe; il suo saper essere anche duro e crudele.
Ofelia è l'autentico personaggio tragico; l'unico che perviene, forse, a una consapevolezza superiore a quella di Amleto e ben più dolorosa.
Ofelia impazzisce e muore non perché rifiutata da Amleto, non per la debolezza del principe e della sua incapacità di dar valore all'unica cosa che è ciò che appare - il vero amore -, ciò che avrebbe potuto dargli una forza e una risolutezza diverse e al quale egli rinuncia (per vigliaccheria? Per incapacità? Per orgoglio?)... no, miei cari lettori...
Ofelia impazzisce e muore allorché le si chiarisce che Amleto è il suo vero amore, debole, vigliacco, feroce amore, crudele amore...
Ofelia impazzisce e muore quando infine comprende che se il suo vero amore è Amleto, lei non sarà mai felice con lui... e non sarà mai felice nemmeno senza di lui...
L'ineluttabilità di certi destini fa sì che ci si auguri di non trovare mai un vero amore simile a quello di Amleto e Ofelia... giacché la totalità e l'appartenenza reciproche, miste all'impossibilità e all'incapacità di viversi senza farsi del male, non portano altro che follia... abbandono... morte...
Dedicato a chi ci si riconosce.
Quando William Shakespeare completò la prima stesura dell'Amleto (1600) aveva alle spalle già numerosi anni di successi come sceneggiatore. Diede prova della sua maestria nelle commedie (Come vi piace), nelle opere a sfondo storico (Riccardo II) e nelle tragedie (Giulio Cesare) dimostrando inoltre le sue notevoli capacità di poeta nei suoi numerosi sonetti.
RispondiEliminaLa tragedia di Amleto, la più lunga tra le opere di Shakespeare, rappresenta una svolta nello sviluppo spirituale ed artistico dell'autore soprattutto tramite dei dialoghi che raggiungono all'interno dell'opera un'intensità di significato difficilmente ripetuta in passato. Un'intensità dovuta soprattutto ai giochi di parole di Amleto, aventi sempre significati molteplici, che lo rendono probabilmente uno dei personaggi che meritano più attenzione all'interno del panorama teatrale.
Le origini della storia sono avvolte nelle nebbie del passato. Si presume che il nome Amleto, di origine danese, provenga da un testo ("Belleforest' Histoires Tragiques", dal "Saxo Grammaticus' Historia Danica") pubblicato nel 1582. Questa tesi è avvalorata anche dalla presenza in questo testo di elementi come l'incesto, il fratricidio e di personaggi come Ofelia, Polonio, Orazio, Rosencrantz e Guildenstern, senza considerare inoltre il viaggio in Inghilterra.
Comunque sia, la storia della vendetta di Amleto era già conosciuta alla corte della regina Elisabetta tramite un presunto lavoro perduto di Thomas Kyd, una tragedia ispirata a Seneca in cui gli elementi realistici dell'opera erano stati congiunti con elementi contemporanei di carattere sovrannaturale, come l'apparizione del fantasma o il caratteristico avvelenamento di cui il vecchio re Amleto è vittima.
Gli antecedenti storici e le affinità concettuali non devono comunque oscurare la singolarità dell'opera di Shakespeare. Prima di tutto occorre notare la natura conflittuale dell'uomo, perfettamente rappresentata in quest'opera. Non appena la rappresentazione inizia, Amleto ha appena completato gli studi, è figlio di un grande re e suo diretto discendente al trono, e tutto ciò sembra esaltare la natura stessa dell'uomo, come si evince da uno dei suoi primi monologhi, in presenza di Rosencrantz e Guildenstern: "Che capolavoro è l'uomo! Nobile d'intelletto, dotato d'una illimitata varietà di talenti; esatto nella sua forma e in tutti i suoi atti; compiuta, ammirevole creazione: pari a un dio nella mente, e nell'azione a un angelo. Lui, la bellezza del mondo. Lui, la misura di ogni animata cosa!". Ma, in contrasto con quanto detto in precedenza, conclude con questa pessimista nota malinconica: "Ebbene, per me non è che una quintessenza di polvere. L'uomo non m'incanta".
Non rende contraddittoria la rappresentazione del giovane ascendente al trono della Danimarca, figlio di un importante re?
RispondiEliminaEffettivamente, l'intera opera ruota intorno a questo punto di vista. Si vedrà il giovane Amleto intraprendere una profonda introspezione, tanto da farlo dubitare del mondo intero, di quanto pensava in passato e della presunta eccellenza della sua stessa natura. Di che genere di mondo è stato testimone per essere indotto a rendere tanto discordi i suoi pensieri dalle sue azioni?
Amleto è stato forzato a "sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell'iniqua fortuna". La morte di un re e di un padre, il precedente re Amleto. Scoprire che sua madre Gertrude è una donna di facili costumi, tanto da arrivare all'incesto a soli due mesi dalla morte del padre (rivelazione resa ancora più sconcertante dall'intimità che lega Amleto e Gertrude). Rendersi conto che i propri amici di vecchia data, Rosencrantz e Guildenstern, non sono differenti da tutti gli altri cortigiani: opportunisti con la sola intenzione di "assorbire, dal re, incarichi favori e ricompense". Argomento, questo dell'amicizia (che difficilmente resiste alle pressioni del tempo, come dimostrano qui Rosencrantz e Guildenstern) da non sottovalutare in quanto ricorrente nelle opere di Shakespeare, come ad esempio ne "Il Mercante di Venezia" ed in un'alta percentuale dei suoi sonetti.
Infine, l’ultimo elemento responsabile dello sconvolgimento di Amleto, del suo cambiamento nel vedere il mondo, è la sua fedeltà nell’amore. Inizialmente osserviamo Polonio negare ad Ofelia il diritto di vedere Amleto, fatto in se neanche troppo sconvolgente, se non fosse legato all’atto di Ofelia di prendere parte ad un esperimento preparato dal re e da Polonio per testare l’effettiva pazzia di Amleto. Questa completa perdita di fiducia nel mondo femminile, che sembra confermare quanto pensato in precedenza su Gertrude, è determinante; tanto determinante da spingere alcuni autori teatrali a rivisitare il personaggio di Amleto in chiave Freudiana, accentuando i rapporti con Ofelia e la madre Gertrude.
Inoltre, a generare ed in seguito ad affilare i suoi propositi di vendetta, un fantasma rivelatore (lo spirito di suo padre) appare davanti a lui in due occasioni: lo metterà a conoscenza del suo omicidio da parte del fratello Claudio, incitandolo alla vendetta, e ritornerà in seguito per evitare che i suoi propositi si possano attenuare.
Amleto scopre così di vivere in un mondo di apparenze. Il nuovo re Claudio, usurpando il trono con metodologia e propositi vili, non potrà mai rappresentare l'autorità e la legge come fece in passato il re Amleto. Rappresenta per Amleto, di fatto, "un assassino, un vigliacco, un cialtrone che non vale la ventesima parte d'un millesimo del vostro re di prima; una parodia di re, un tagliaborse del potere e del regno che da un cassetto scassinato ha tratto di furto il ricco diadema della legalità, e se l'è cacciato in tasca".
Un altro elemento degno di nota è "La trappola per topi". Questa rappresentazione teatrale dentro la rappresentazione teatrale, e soprattutto la scena in cui il re interrompe bruscamente la recita, sembrano eliminare la sensazione di essere solo presenti ad un’opera. Questo effetto è dato dall’impressione che effettivamente l’unica opera a cui si stia assistendo sia "L’Omicidio di Gonzago", e che l’interruzione di quest’ultima sia un fatto reale. Inoltre non bisogna dimenticare che è la storia di Priamo e Gonzago a convincere realmente Amleto del crimine di Claudio, ravvivando il suo desiderio di vendetta, ed a spegnere la seppur vana ipotesi di aver parlato con uno spirito diabolico.
RispondiEliminaMa è solo durante il viaggio in Inghilterra, venendo a conoscenza del tradimento di Rosencrantz e Guildenstern, che Amleto decide di dare il colpo decisivo alla Danimarca, permettendogli di superare ogni scrupolo da cui era stato trattenuto in precedenza.
E' interessante inoltre analizzare i due contrastanti punti di vista di Amleto e Claudio: dove il fantasma del vecchio Amleto rappresentava coraggio, onestà ed onore, Claudio rappresenta viltà, disonestà e vizio. Laddove il giovane Amleto è filosofo e poeta, Claudio è politicante e retorico.
Oppone all'immaginazione filosofica di Amleto un atteggiamento orientato alla praticità ed al materialismo. Ed è proprio questa dualità dell'attuale re, simbolo di autorità del paese e, al contempo, individuo dedito alla menzogna ed alla volgarità, a portare Amleto a scontrarsi con la falsa autorità che Claudio rappresenta. Questo elemento, anch'esso basilare all'interno dell'opera, raggiunge il suo apice nella scena finale, quando Amleto (ferito a morte) trafigge il re, avvelenandolo.
L’unico personaggio che sembra mantenere la propria lucidità senza subire rilevanti sconvolgimenti psicologici, forse a causa della propria saggezza (spesso dimostrata nei dialoghi con Amleto, di cui di fatto è il suo unico confidente), è Orazio. Acquisterà un'importanza sempre più rilevante all'interno dell'opera, divenendo infine l’unico perno fisso nel tragico scenario di morte della scena finale, in cui rappresenta il tramite per trasmettere l’accaduto ai posteri; probabilmente Orazio si può considerare anche il solo uomo veramente degno di rispetto all'interno della corte di Elsinor.
Per concludere, quest’opera non offre verità etiche o morali, ma mostra la vita da una prospettiva molto più ampia di quanto sia mai stato fatto in precedenza; una prospettiva in cui l’uomo si interroga, analizza se stesso, ragiona e soffre sotto una continua pressione emotiva. Un uomo che si interroga, prima ancora che sugli avvenimenti correnti, sui misteri della sua stessa natura. Una simile visione della vita si allontana dal semplice concetto di tragedia, diventando prima ancora di un opera d’arte, uno schema sulla condizione dell’uomo.
ciao da roberto
Grazie per la tua analisi critica... io ho semplicemente preso spunto dalla follia e morte di Ofelia per tracciare il ritratto di una relazione d'amore infelice...
RispondiEliminaEncomiabile...
RispondiEliminanel riportare con gran cura e nei limiti dello spazio, una delle più grandi opere.
E per comprenderla in pieno.. occorre..solo.. empatia
Niente altro.
Giganti del passato, che parlavano (e parlano) contro nani del presente... che solo farfugliano
...
Solo... empatia...
RispondiEliminabeh, vero, a volte pare proprio che il destino abbia già scritto tutto. interessante anche il dilemma tra azione e inazione...io credo, personalmente, che sia peggio il pensiero di come sarebbero andate le azioni se si fosse agito, mentre non lo si è fatto, piuttosto che il dispiacere per rendersi conto che la propria decisione è stata sbagliata. Almeno, si è fatto un tentativo...
RispondiEliminaTu dici che è meglio un rimorso che un rimpianto? Dipende dalle circostanze...
RispondiEliminaL'Amleto come paradigma di un amore impossibile, anzi pericoloso? Già, ma gli amori normali (per fortuna) non sono (o non dovrebbero essere) così estremi, così lucidi e passionari, così epici insomma.
RispondiEliminaPerò è vero che ci sono destini quasi ineluttabili, vite che hanno la cascata in fondo all'orizzonte del fiume e che scendono forse consapevoli nella corrente. :-))
Aloha
... sono meno rare di quanto ci si immagini ;-)
RispondiEliminaL'unica cosa che ricordo di questa opera è il monologo col teschio e la famosa frase che a volte svegliandomi di notte mi fa sobbalzare dal letto "c'è del marcio in Danimarca"
RispondiEliminaMa siamo proprio certi che si tratti della Danimarca!
Pace e bene
Fracatz
No, mio caro, il marcio ce l'abbiamo in casa... ma ormai ci siam talmente abituati alla puzza che nemmeno ce ne accorgiamo...
RispondiElimina(Ovviamente non credo di essere l'unica a sentire quest'odore nauseabondo)...
Sono d'accordo su questa prospettiva spostata su Ofelia, che oltre alla sua intriseca "fragilità....il tuo..." ha per fato la non indifferente condizione all'interno dell'economia della tragedia, di essere la figlia di Polonio e la sorella di Laerte.
RispondiEliminaE ben hanno intuito certi pittori a rappresentarla adagiata sulle ninfeee di un ruscello e condotta alla foce "...dell'inesplorato dei continenti..."
potente metafora dell'inutilità di ogni resistenza al già scritto, che è poi il destino dei personaggi tragici, costretti in un contesto e a rivestire un ruolo il più inadatto e lontano dalla lora natura.
Se ancora si trovano persone con le quali "interpretare" Shakespeare, forse non tutto è irrimediabilmente perduto.
Il personaggio tragico è tale perché incarna il suo destino e ne viene annientato...
RispondiEliminaNo, non tutto è perduto, se esistono ancora persone capaci di rivolgere lo sguardo alla Bellezza.