Perché la parola è vento, principio primo dell'essere, scintilla dell'infinito

domenica 14 febbraio 2010

Un ritorno


Saliva le scale con passo agile e svelto, stretto nella sua felpa bianca e in un sorriso bambino che non l’aveva mai abbandonato. Dopo mesi, lunghissimi mesi, era ritornato in città e voleva farle una sorpresa. Avrebbe rivisto la dolce signora della portineria seduta al suo posto, ad ascoltare le richieste degli studenti o a fumare di nascosto una sigaretta sul retro, dispensando notizie con la sua voce ruvida e roca, radicata in quel piccolo spazio di passaggio e, nonostante l’andirivieni di uomini e idee, ancora lì, rassicurante e presente, come quelle cose che non cambiano mai e sai che ci saranno sempre, pronte a darti ascolto o un consiglio, come solo la semplice saggezza di occhi che hanno visto il mondo sa fare.
Mentre saliva le scale, si passò una mano, lunghe dita sottili, sulla testa... e lì dove un tempo ricci scomposti gli avevano conferito un aspetto infantile, ora c’era solo un preciso taglio simmetrico; pochi centimetri di capelli nerissimi. Era cresciuto e lo sapeva. Quel gracile ragazzino impaurito si era trasformato in un uomo. Ma i lampi in fondo ai suoi occhi d’ombra scintillavano ancora. Il fisico tonico e asciutto lo faceva sembrare più alto: forse, però, era solo un’impressione. Anche l’andatura decisa e sicura lo faceva sembrare diverso. Lo era davvero? Ci sono cose di noi che cambiano senza che ce ne rendiamo conto e aspetti immutabili che ci accompagnano anche quando preferiremmo di no; tuttavia, a parte l’evidente cambiamento esteriore, nulla emergeva in superficie, né impazienza né inquietudine, solo un sorriso profondo e sincero.
Jeans neri e scarpe da ginnastica chiare, saliva gli ultimi gradini che lo separavano dal primo piano e... i ricordi presero il sopravvento, avvolgendolo nel calore di un abbraccio quasi dimenticato. I pomeriggi trascorsi lungo i corridoi del Dipartimento di Sociologia presero forma nella sua testa, disegnando i contorni della memoria. Il lavoro negli uffici di segreteria, i personaggi assurdi e improbabili che popolavano quei luoghi, gli orari delle lezioni, gli appunti scambiati, gli esami da finire... tutto gli tornò alla mente, come se i tre anni passati non fossero mai trascorsi, come se per un imprevedibile intreccio del destino tutto fosse ritornato all’inizio, un tuffo all’indietro. Il sorriso divenne impercettibile. Sorrideva dentro.
L’ultima rampa di scale gli fece scorgere il piccolo specchio sul muro di fronte. Spostandosi leggermente sulla destra, vicino al corrimano, era possibile vedere chi fosse seduto in portineria. Si sporse un po’ e vide la signora girata di lato; evidentemente parlava con qualcuno. Di solito, il gioco di sguardi nello specchio era il preludio al saluto affettuoso che si sarebbe svolto dopo pochi istanti; era uno scambio di sorrisi prima dell’abbraccio, la scoperta dello stupore negli occhi dell’altra, che certo non si aspettava la sua visita. “Meglio così”, si trovò riflettere. La sorpresa sarebbe stata più d’effetto.
Mise il piede sull’ultimo gradino, si voltò a sinistra e... il tempo si solidificò in un battito interrotto e struggente. Proprio di fronte a lui l’immagine di lei. No, non era un’immagine. Era lei. Per un decimo di secondo pensò di averla immaginata, meravigliandosene. Poi, svanirono i rumori, svanì ogni cosa intorno, sbiadì persino lo stupore materno con cui la signora della portineria stava per investirlo. C’era solo lei, con la sua pelle di luna e i capelli di seta. Quant’erano cresciuti dall’ultima volta che le sue dita erano affondate tra di loro e le sue mani avevano dolcemente spinto la testa di lei sul suo cuore! Quei capelli adesso così lunghi e sottili, dall’odore di mora. Quante lune erano tramontate da quando quelle labbra d’un pallido rosso s’erano schiuse sulla sua pelle? Quell’apparizione inaspettata gli procurò un sordo dolore al petto. Sentiva il battito accelerare ed era incapace di muoversi.
Contemporaneamente lei sollevò lo sguardo e quello che prima era un sorriso luminoso si tramutò in una smorfia di pietra. In un attimo, terribile e inquieto, il verde degli occhi di lei fu ingoiato dalla notte degli occhi di lui. Due pozzi oscuri in cui annegare le stelle e la malinconia del rimpianto. Fu un attimo di tale violenza che lei percepì con sgomento il respiro annullarsi e un freddo nodo di gelo stringerle la gola. Una scossa elettrica le percorse le vene; una scarica di adrenalina che avrebbe dovuto farla tornare a respirare. Ma non accadde. Il respiro le morì nel petto, magneticamente attratta dal vortice di quel contatto di sguardi per nulla innocente. Si sapeva incatenata a quegli occhi. Persa, senza difese. Non l’aveva dimenticato. Non avrebbe potuto farlo. Era lui. Bello e terribile come il mare in tempesta. Intenso come un’onda tagliente che s’infrange sugli scogli, che erode e consuma, lasciando segni profondi sull’anima, ferite che non smettono di sanguinare.
Già, l’anima. Lui si sentì prepotentemente sommergere dalla presenza di lei. Vide le barriere cedere, percepì che l’avrebbe invaso ancora una volta con tutta se stessa e che l’avrebbe ucciso. Finalmente.
Compresero, lungo il percorso d’uno sguardo incosciente, il fondersi repentino e inesorabile delle loro anime. Una fusione talmente totalizzante da provocar loro un dolore inaudito.
Si sentiva perduto. Come se le certezze che aveva faticosamente raggiunto o artatamente costruito per non impazzire venissero spazzate via da quegli occhi. Le fiamme che vi divampavano dentro lo divoravano. Dinanzi a lei si sentiva morire. Quella donna radeva al suolo ogni maschera e ogni armatura che lui aveva cucito a doppio filo sulla sua pelle. Quella donna raggiungeva parti di lui a lui stesso ignote o volutamente sepolte. Quella donna era lì davanti a lui e lui non poteva smettere di ubriacarsi di lei.
Le sembrava che ogni cosa intorno si stesse sgretolando. Non riusciva a vedere nulla. Le lacrime avevano offuscato come nebbia sottile lo spazio che la separava da lui, pochi metri di puro dolore. Si rese conto che non esisteva spazio o tempo in grado di allontanarla da lui; che sarebbero potuti sorgere soli e tramontare lune, ma l’effetto sarebbe stato identico. Lacerante. Lui dimorava nella sua anima. Sovrano assoluto. La sua oscurità ne divorava l’essenza. L’avrebbe uccisa. Prima o poi.
Si ruppe il tempo come un vecchio orologio da taschino e riprese a scorrere ciò che non sarebbe stato. Distolse lo sguardo per prima e qualcosa le si lacerò dentro. Con passo affrettato, disperato, gli passò accanto. Le scale, doveva raggiungere le scale e scendere quanto più in fretta possibile. Non riusciva a respirare. Aria. Aria. Aveva bisogno di luce.
Nel momento in cui gli passò accanto, incapace di distogliere lo sguardo da lei, lui ne aspirò il profumo... una coltellata di muschio bianco e vaniglia gli si piantò nel cuore e la vide, nuda, abbandonata ai suoi baci, persa nella sua pelle, nell’unico istante di vita che li aveva uniti. L’aveva desiderata così ferocemente. L’aveva avuta così dannatamente sua da spezzarle il cuore. E da sentire, per la prima volta, che anche il suo batteva. Quella donna gli aveva fatto provare ciò che lui s’era imposto di non provare. Mai più. Quella donna, con la sua fragilità e la sua forza inconsapevole, gli aveva insegnato cosa fosse l’amore e gliel’aveva inciso a lettere di fuoco nell’anima. L’aveva marchiato e reso vulnerabile. Gli aveva dimostrato di poter accedere a luoghi che lui voleva tenere segreti e inviolabili.
L’aveva fatto suo, per sempre.

Per questo la odiava...



11 soffi di vento:

  1. Semplicemente bello, bellissimo racconto!!! Complimenti Alessandra!!

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  2. Ma perchè non arrendersi alla forza dell'amore e rassegnarsi ad affrontare una sana e parsimoniosa vita coniugale?
    Certi tormenti interiori una volta erano riservati solo ai ricchi.

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  3. Non sei solo una brava poetessa, ma anche una abile intessitrice di storie! Come è bello scoprire cose nuove, specialmente nei nuovi amici...
    Cara Alessandra un saluto affettuoso dal nuovo amico Chopy.

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  4. @ Fracatz: e invece toccano anche ai poveracci... ma vi ricordo che è solo una storia ^_^

    @ Chopy: che onore!!! Mi sto avventurando su questa strada ma il mio amore resta la poesia... grazie di cuore!

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  5. Ciao Ale! Non c'entra nulla con questo post.. ho letto il tuo commento sul blog di Avvogat...che dire.. solo che sei fantastica. Punto.
    Un bacio Claudia

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  6. Ma no, che fantastica :-)
    Ti abbraccio forte forte

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  7. Siiiiiiiiiiiiiiii ci vediamo a Roma... Carissima Alessandra. Così ci conosceremo di persona...
    Un saluto carissima da Michele... del blog Chopy

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  8. Ciao Ale! L'ho letto (finalmente..) tutto d'un fiato .. ma.. ehm .. il seguito? Sai perchè ci si appassiona a racconti scritti così intensi.
    Un bacione enorme!

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  9. @ Cla: sono contenta che ti sia piaciuto... chi lo sa? Forse scriverò il seguito...^_^

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  10. scusa il ritardo sono una distrattona! Tanti tanti auguri di buon compleanno! un bacione
    alerina

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